- Capitolo I -
Parte prima
Nella prima metà del Cinquecento si osservano diversi importanti cambiamenti in ambito culturale e sociale: il latino smette di essere l'unica lingua usata nelle corti rinascimentali ed anche i trattati come questo che andremo a leggere segue la tendenza ad usare una forma di Italiano meno dotto ma più alla portata di tutti.
Infatti in questo periodo si affiancano ai Grandi Personaggi delle Corti anche uno stuolo di Segretari e Dignitari che non dovevano essere per forza di nobile lignaggio ma comunque dotati di un'ottima cultura e di modi e maniere tali da essere accettati in pieno in quel mondo fatto di etichetta e di usi e costumi affinati nel tempo in tutti i Nobili Palazzi d'Italia e d'Europa.
Quindi anche per questi Cortigiani che vivono tra una nobiltà di toga e una carriera diplomatica serve una sorta di manuale comportamentale per prima cosa di base che permetterebbe “a chiunque si dispone a vivere [...] nella città e tra gli uomini”, come nel Galateo di Monsignor Della Casa, pubblicato postumo nel 1558.
Redatto nell'abbazia di Sant'Eustachio a Nervesa sul Montello, tra il 1552 e il 1555, il Galateo (il cui titolo completo è Trattato di Messer Giovanni Della Casa, il quale sotto la persona d'un vecchio idiota ammaestrante un suo giovanetto, si ragiona de' modi che si debbono o tenere o schifare nella comune conversazione, cognominato Galateo overo de' costumi), è un breve trattato in forma di dialogo, in cui si immagina un “vecchio” (dietro il quale è celata la figura dello stesso autore) che impartisce insegnamenti ad un ipotetico giovane (presumibilmente Annibale, uno dei nipoti del Della Casa).
Diviso in trenta capitoli ripartiti quasi sicuramente dall'editore (il manoscritto originale infatti non riporta alcuna suddivisione), che detta le regole consone alla conversazione, all'abbigliamento e ai costumi di un gentiluomo. Quattrocentocinquanta anni fa (1558), postumo, quindi usciva un libello che avrebbe fatto storia: il Galateo overo de' costumi, opera di Monsignor Giovanni della Casa (Mugello, Firenze, 1503 - Roma 1556).
E’ stata capostipite dei trattati sulle buone maniere in società, che Galateo dette subito luogo al deonimico galateo 'buona educazione'. In questa accezione, la parola è già attestata negli scritti del letterato Tomaso Garzoni nel 1585, a poco meno di trent'anni dalla pubblicazione del libello, che fu composto tra il 1553 e il 1555 dal Casa nel trevigiano, dove il vescovo s'era ritirato dopo intensi anni di attività per conto della Santa Sede (prima a Roma, poi a Venezia).
A sua volta il nome proprio Galateo costituisce l'adattamento della forma latinizzata di Galeazzo (Galatheus), vale a dire del nome di battesimo dell'amico Galeazzo Florimonte, vescovo di Sessa, «a petizion del quale e per suo consiglio presi io da prima a dettar questo presente trattato», come scrisse il Casa raccogliendo in forma armoniosa «consigli e ammaestramenti sulla maniera di conversare, di vestire, di stare a tavola, di comportarsi nella vita di relazione».
La fortuna immediata del Galateo è ben documentata. Nel 1583, scrive Filippo Sassetti in una lettera: «Se io avessi avuto bene tra le mani le regole del Galateo, o pure fattone qualche capitale, io lasciava stare il darvi consiglio». John Florio, nel suo famoso vocabolario italiano-inglese A Wordle of Wordes (1598), registrava non galateo ma, addirittura, galateista 'persona di buone maniere, come prescrive il Galateo'.
Iniziamo a leggerlo paragrafo per paragrafo riportando sotto ognuno di essi una sorta di traduzione nella forma di Italiano corrente ( almeno spero.. ).
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Con cio sia cosa ché tu incominci pur ora quel viaggio del quale io ho la maggior parte, sì come tu vedi, fornito, cioè questa vita mortale, amandoti io assai, come io fo, ho proposto meco medesimo di venirti mostrando quando un luogo e quando altro, dove io, come colui che gli ho sperimentati, temo che tu, caminando per essa, possi agevolmente o cadere, o come che sia, errare: accioché tu, ammaestrato da me, possi tenere la diritta via con la salute dell'anima tua e con laude et onore della tua orrevole e nobile famiglia.
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Il Maestro si rivolge al suo protetto e inizia a dirgli che per la vita che si appresta ad affrontare e che Lui ormai ne già ha percorso di tanti anni, cercherà proprio per il bene che gli vuole di evitare che lui ancora fanciullo, cadi o inciampi in particolari di vita e quindi gli illustrerà come tenere ben saldi i principi per una ottima salute sia dell’anima che per un ulteriore onore e plauso per la nobile famiglia da cui proviene.
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E percioché la tua tenera età non sarebbe sufficiente a ricevere più prencipali e più sottili ammaestramenti, riserbandogli a più convenevol tempo, io incomincerò da quello che per aventura potrebbe a molti parer frivolo: cioè quello che io stimo che si convenga di fare per potere, in comunicando et in usando con le genti, essere costumato e piacevole e di bella maniera: il che non di meno è o virtù o cosa a virtù somigliante; e, comeché l'esser liberale o constante o magnanimo sia per sé sanza alcun fallo più laudabil cosa e maggiore che non è l'essere avenente e costumato.
Ed il Maestro continua nel dialogo verso il fanciullo dicendogli che vista la sua giovane età è inutile dargli insegnamenti importanti e difficili da apprendere, meglio per adesso attenersi ad insegnamenti che a molti possono sembrare quasi inutili ma invece sono importanti per chi vuole comunicare e stare in mezzo alla gente e quindi tentare di essere sempre al meglio per discorsi, gesti, accortezze varie che sono le prime regole anche per chi ha altri pregi di pensiero e di azioni.
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Non di meno forse che la dolcezza de' costumi e la convenevolezza de' modi e delle maniere e delle parole giovano non meno a' possessori di esse che la grandezza dell'animo e la sicurezza altresì a' loro possessori non fanno: percioché queste si convengono essercitare ogni dì molte volte, essendo a ciascuno necessario di usare con gli altri uomini ogni dì et ogni dì favellare con esso loro; ma la giustizia, la fortezza e le altre virtù più nobili e maggiori si pongono in opera più di rado; né il largo et il magnanimo è astretto di operare ad ogni ora magnificamente, anzi non è chi possa ciò fare in alcun modo molto spesso; e gli animosi uomini e sicuri similmente rade volte sono constretti a dimostrare il valore e la virtù loro con opera.
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Il precettore spiega che l’essere gentile nelle movenze, nei modi e nei costumi e nelle parole giovano a chi usa tutte queste bravure come giovano la grandezza dell’animo e la sicurezza e la fierezza dell’anima, infatti non sempre una persona deve dimostrare con grandi gesta di essere un sapiente, un giusto un eroe, a volte bastano anche poche azioni in una vita a dimostrare di essere tale, invece dimostrare di essere una persona educa e di ottime maniere è doveroso farlo ogni momento proprio perché è una virtù che accompagna ogni ora della sua giornata.
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Fine prima parte
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