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giovedì 26 marzo 2015

IL GALATEO DI GIOVANNI DELLA CASA

- Capitolo I -

Parte seconda

Continua il discorso del Precettore al Fanciullo.
Come nell'articolo precedente alterno lo scritto originale con un riscrivere usando un linguaggio più consono ai Nostri tempi.




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Galateo parte secondaAdunque, quanto quelle di grandezza e quasi di peso vincono queste, tanto queste in numero et in ispessezza avanzano quelle: e potre'ti, s'egli stesse bene di farlo, nominare di molti, i quali, essendo per altro di poca stima, sono stati, e tuttavia sono, apprezzati assai per cagion della loro piacevole e graziosa maniera solamente; dalla quale aiutati e sollevati, sono pervenuti ad altissimi gradi, lasciandosi lunghissimo spazio adietro coloro che erano dotati di quelle più nobili e più chiare virtù che io ho dette; e, come i piacevoli modi e gentili hanno forza di eccitare la benivolenza di coloro co' quali noi viviamo, così per lo contrario i zotichi e rozzi incitano altrui ad odio et a disprezzo di noi. 

*******

Il Saggio spiega al fanciullo continuando dal paragrafo precedente che anche se si posseggono grandi virtù non si può fare a meno dell’educazione e della gentilezza nel proprio atteggiamento verso gli altri. 

Entrambe le doti umane devono essere sviluppate e una volta avanza una ed un’altra volta l’altra, dipende dall’occasione e mai sottovalutare i modi gentili e graziosi, infatti ci sono stati molti che hanno avuto successo nella vita solo grazie ad essi e lasciandosi dietro persone anche di intelligenza e spessore maggiore ma solo non capaci di ingraziarsi nessuno per modi non molto gentili e affabili. 

Conclude quindi che la forza dei modi gentili e piacevoli verso gli altri hanno l’ottima proprietà di predisporre benevolmente chiunque nei confronti di chi li attua e quindi saranno sempre ricercati e benvoluti al contrario dei zoticoni e rozzi di modi che attireranno sopra di loro sempre disprezzo se non addirittura odio. 

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Per la qual cosa, quantunque niuna pena abbiano ordinata le leggi alla
spiacevolezza et alla rozzezza de' costumi sì come a quel peccato che loro è paruto leggieri, e certo egli non è grave, noi veggiamo nondimeno che la natura istessa ce ne castiga con aspra disciplina, privandoci per questa cagione del consorzio e della benivolenza degli uomini: e certo, come i peccati gravi più nuocono, così questo leggieri più noia o noia almeno più spesso; e, sì come gli uomini temono le fiere salvatiche e di alcuni piccioli animali, come le zanzare sono e le mosche, niuno timore hanno, e non di meno, per la continua noia che eglino ricevono da–lloro, più spesso si ramaricano di questi che di quelli non fanno, così adiviene che il più delle persone odia altrettanto gli spiacevoli uomini et i rincrescevoli quanto i malvagi, o più. 

Per la qual cosa niuno può dubitare che a chiunque si dispone di vivere non per le solitudini o ne' romitorii, ma nelle città e tra gli uomini, non sia utilissima cosa il sapere essere ne' suoi costumi e nelle sue maniere grazioso e piacevole; sanza che le altre virtù hanno mestiero di più arredi, i quali mancando, esse nulla o poco adoperano; dove questa, sanza altro patrimonio, è ricca e possente, sì come quella che consiste in parole et in atti solamente. 

*******

Galateo parte seconda
Il precettore continua nel discorso al giovane allievo che la mancanza di questi modi gentili ed educati anche se non sono stati prescritti da nessuna legge e che essere rozzi non è considerato un vero e proprio peccato, ciò nonostante quasi come fosse la natura umana stessa a discriminare questi individui rozzi e villani, infatti li priva dell’amicizia e della benevolenza di tutti quelli che li circondano. 
Ci sono delle gravi azioni che gravemente si ripercuotono su chi li subisce e quindi molto temute ma anche piccole ma continue piccole azioni negative alla fine portano a noia e conseguentemente l'allontanarsi del prossimo. 

E a questo punto il Maestro porta l’esempio delle belve che sono temute dagli uomini per la loro manifesta pericolosità e quindi tenute alla larga, ma anche dei piccoli animali come le mosche e le zanzare anche se non proprio temute forse di più disprezzate ed odiate per il loro continuo fastidio, onde non pensare solo alle grandi azioni ma anche alle piccole che rendono una persona migliore per se stessi e per gli altri. 
Quindi tutti quelli che decidono di non vivere da eremiti o nei pubblici dormitori ai limiti della società civile, devono per forza di cosa imparare l’educazione e le buone maniere per essere sempre accettati benevolmente da chiunque e anche quando mancano le grandi virtù comunque sono una modo formidabile per essere accettati e ammirati dagli altri nella società. 

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Fine primo capitolo

martedì 24 marzo 2015

VERA CROCE

Vera Croce è il nome dato alla croce sulla quale, secondo i Vangeli, Gesù fu crocifisso.

Secondo la tradizione cristiana, la Vera Croce venne ritrovata a Gerusalemme nel IV secolo e ivi conservata fino al 1187, quando se ne persero le tracce dopo la conquista della Città Santa da parte di Saladino.

In diversi luoghi tuttavia si pretende esistano dei frammenti che si vorrebbe provengano da essa.

Molti storici dubitano che la croce ritrovata da Elena potesse veramente essere la croce di Cristo.

I sospetti maggiori derivano dal fatto che la croce sia stata trovata alcuni secoli dopo la morte di Cristo, e che il ritrovamento sia attestato solo da fonti tarde.

È del tutto probabile che la "vera croce" (unica o meno) sia stata costruita nel IV secolo.

La maggior parte degli studi moderni confermano che Gesù sia stato crocifisso su una croce di forma e dimensioni tramandate dalla tradizione, proprio per il metodo con cui si svolgeva la crocefissione, la quale avveniva ordinariamente sotto i romani con la forma a noi tramandata dalla tradizione.

Gesù non fu semplicemente inchiodato ad un palo ma ad una croce, in quanto era la croce lo strumento di supplizio romano e Gesù fu sottoposto ad una pena presieduta dai romani i quali usavano sempre la croce nelle loro sentenze ordinarie dell'epoca.

Il racconto del ritrovamento (inventio crucis) potrebbe essere successivo al 337, anno in cui Eusebio di Cesarea scrive la Vita di Costantino, in cui racconta che Costantino I trovò la tomba di Gesù, senza fare alcuna menzione della croce.

In particolare Eusebio ricorda che gli scavi per la scoperta della tomba furono portati avanti da Macario di Gerusalemme per volere di Costantino, il quale aveva avuto un sogno premonitore (luglio 325); la chiesa fu dedicata nel settembre 335, ma non vi è traccia della croce.

Nel 340-345 un pellegrino di Bordeaux, visitando Gerusalemme, afferma l'esistenza del complesso costruito da Costantino (una grande basilica, il martyrium, un atrio chiuso da un triportico costruito attorno alla tradizionale roccia del Calvario, e una chiesa rotonda anastasis che conteneva il sepolcro), ma non cita la croce.

Le Catechesi di Cirillo, però, riferiscono della croce; essendo state scritte tra il 348 e il 350, permettono di datare la creazione del racconto agli anni 340. Socrate Scolastico (nato nel 380 circa) fornisce un resoconto del ritrovamento nella sua Storia ecclesiastica.

Narra come Elena, madre di Costantino I, avesse fatto distruggere il tempio pagano posto sopra al Sepolcro e, riportatolo alla luce, vi ritrovò tre croci e il titulus crucis (il cartello posto sulla croce di Gesù).

Secondo il racconto di Socrate, Macario, vescovo di Gerusalemme, fece porre le tre croci una per volta sopra il corpo di una donna gravemente malata.

La donna, miracolosamente, guarì perfettamente al tocco della terza croce, che venne identificata con l'autentica croce di Cristo.

Socrate sostiene che fossero stati ritrovati anche i chiodi della crocefissione, e che Elena li avesse mandati a Costantinopoli, dove furono incorporati nell'elmo dell'imperatore e uno fu trasformato nel morso del proprio cavallo (questo morso sarebbe quello conservato prima nell'antica Basilica di Santa Tecla e, dopo la traslazione del 1548 voluta dal Vescovo Carlo da Forlì, nelDuomo di Milano, a decine di metri d'altezza dal suolo).

Secondo una tradizione (contraddetta da un'analisi recente che ne avrebbe mostrato la composizione d'argento) un altro chiodo dovrebbe circondare l'interno della corona ferrea oggi conservata nel Duomo di Monza.

Sozomeno (morto nel 450 circa), nella sua Storia ecclesiastica, fornisce in pratica la stessa versione di Socrate.

In più egli aggiunge che era stato detto che il luogo del sepolcro era stato "rivelato da un ebreo che abitava ad est, e che aveva tratto questa informazione da certi documenti ereditati da suo padre" (lo stesso autore mette però in dubbio l'autenticità di questo aneddoto) e che un morto era stato resuscitato dal tocco della Croce.

Versioni più tarde della vicenda, di tradizione popolare, sostengono che l'ebreo che aveva aiutato Elena si chiamasse Giuda, e che in seguito si fosse convertito al Cristianesimo e avesse preso il nome di Ciriaco.

Teodoreto di Cirro (morto intorno al 457) riferisce quella che era divenuta la versione comune del ritrovamento della Vera Croce: « Quando l'imperatrice scorse il luogo in cui il Salvatore aveva sofferto, immediatamente ordinò che il tempio idolatra che lì era stato eretto fosse distrutto, e che fosse rimossa proprio quella terra sulla quale esso si ergeva.

Quando la tomba, che era stata così a lungo celata, fu scoperta, furono viste tre croci accanto al sepolcro del Signore.

Tutti ritennero certo che una di queste croci fosse quella di nostro Signore Gesù Cristo, e che le altre due fossero dei ladroni che erano stati crocifissi con Lui.

Eppure non erano in grado di stabilire a quale delle tre il Corpo del Signore era stato portato vicino, e quale aveva ricevuto il fiotto del Suo prezioso Sangue.

Ma il saggio e santo Macario, governatore della città, risolse questa questione nella seguente maniera. Fece sì che una signora di rango, che da lungo tempo soffriva per una malattia, fosse toccata da ognuna delle croci, con una sincera preghiera, e così riconobbe la virtù che risiedeva in quella del Signore.

Poiché nel momento in cui questa croce fu portata accanto alla signora, essa
scacciò la terribile malattia e la guarì completamente » (Teodoreto di Cirro, Storia ecclesiastica, Capitolo XVII) Con la Croce furono anche rinvenuti i Santi Chiodi, che Elena portò via con sé a Costantinopoli.

Secondo Teodoreto :" Elena fece trasportare parte della croce di nostro Signore a palazzo.   Il resto fu chiuso in un rivestimento d'argento e affidato al vescovo della città, che fu da lei esortato a conservarlo con cura, affinché potesse essere tramandato intatto ai posteri. "

Un'altra versione popolare di tradizione siriaca sostituisce Elena con una mitica imperatrice del I secolo di nome Protonike.

La conservazione delle reliquie Il reliquiario d'argento, custodito nella chiesa dal Vescovo di Gerusalemme, era mostrato periodicamente ai fedeli.

Negli anni intorno al 380 una pellegrina cristiana di nome Egeria, recatasi a Gerusalemme in pellegrinaggio, descrisse la venerazione della Vera Croce in una lunga lettera, l'Itinerarium Egeriae, che mandò alla sua comunità religiosa: « Quindi una sedia viene posta per il vescovo sul Golgota dietro la Croce, che adesso è in piedi; il vescovo prende posto sulla sedia, e davanti a lui viene posta una tavola coperta di un panno di lino; i diaconi stanno in piedi attorno alla tavola, e vengono portati uno scrigno argentato in cui si trova il sacro legno della Croce e la condanna, e posati sul tavolo.

Lo scrigno viene aperto e [il legno] viene preso, e sia il legno che la condanna vengono posati sul tavolo.

Ora, quando viene messo sul tavolo, il vescovo, sedendosi, mantiene con fermezza le estremità del sacro legno, mentre i diaconi fermi tutto attorno lo sorvegliano.

Esso viene così sorvegliato perché è tradizione che le persone, sia i fedeli che i catecumeni, vengano una alla volta, inginocchiandosi davanti al tavolo, per poi baciare il sacro legno e allontanarsi.

E a causa di ciò, non so quando successe, si dice che qualcuno abbia morso e quindi rubato una scheggia del sacro legno, ed è quindi sorvegliato dai diaconi che stanno tutt'attorno, nel caso che uno di quelli che vengono dovesse tentare di farlo di nuovo.

E quando le persone passano una ad una, tutte inchinandosi, toccano la Croce e la condanna, prima con la fronte e poi con gli occhi; poi baciano la Croce e passano, ma nessuno stende la mano per toccarla.

Quando hanno baciato la Croce e si sono allontanati, un diacono regge l'anello di Salomone e il corno con cui venivano Consacrati i Re; baciano il corno e guardano l'anello; »

A lungo in precedenza, ma forse non fino alla visita di Egeria, era possibile anche venerare la corona di spine.

Dopo varie peripezie dovrebbe essere finita a Costantinopoli, dove fu molto venerata ma alla fine fu data in pegno al re di Francia in cambio di una grande somma di denaro.

Restò in Francia, e per la sua conservazione è stata costruita la Sainte Chapelle, gioiello del gotico.

A Gerusalemme si poteva venerare anche il palo a cui Cristo fu legato per la flagellazione, e la Sacra Lancia, che gli trafisse il fianco. Inutile ricordare che di molte reliquie della Passione vi erano duplicati in mezzo mondo.

Il poema in antico inglese Dream of the Rood menziona il ritrovamento della Croce e l'inizio della venerazione delle sue reliquie.

Una leggenda medioevale (la Leggenda della Vera Croce) narra che essa fu
costruita utilizzando l'Albero di Jesse (padre di re Davide), che è identificato con l'Albero della Vita che cresceva nel Giardino dell'Eden.

Nel 614 il sasanide Cosroe II portò via la Croce come trofeo, quando prese Gerusalemme.

Tredici anni dopo, nel 628, l'imperatore d'OrienteEraclio sconfisse Cosroe e recuperò la Croce, che portò prima a Costantinopoli e poi di nuovo a Gerusalemme.

Attorno al 1009, i cristiani di Gerusalemme nascosero la Croce, e tale rimase fino al suo ritrovamento, avvenuto durante la prima crociata, il 5 agosto 1099 per mano di Arnolfo Malecorne, primo patriarca latino di Gerusalemme, in un momento in cui il morale aveva bisogno di essere tenuto alto.

La reliquia scoperta da Arnolfo era un piccolo frammento di legno incastonato in una croce in oro.

Divenne la più sacra reliquia del regno di Gerusalemme, e non fu soggetta a nessuna delle controversie che avevano seguito in precedenza la scoperta della Sacra Lancia adAntiochia.

Fu conservata nella basilica del Santo Sepolcro sotto la protezione del patriarca latino, che la portava in marcia alla testa dell'esercito prima di ogni battaglia.

Fu portata anche sul campo della battaglia di Hattin nel 1187, ma l'esercito cristiano fu messo in rotta da Saladino e della Vera Croce si persero successivamente le tracce.

Sicuramente fu presa dai musulmani e nelle cronache islamiche si ricorda come Saladino ne rifiutasse la restituzione ai rappresentanti cristiani che gliela chiedevano, ricordando loro come Gesù fosse per l'Islam un grandissimo profeta, degno di essere ricordato.

Frammenti della Vera Croce Secondo la tradizione, prima della scomparsa della Croce, diversi frammenti ne vennero staccati e largamente distribuiti. Oggi il Monastero di Santo Toribio de Liébana, in Spagna, ospita il più grande di questi pezzi, ed è una delle mete di pellegrinaggio più visitate dalla Chiesa Romana Cattolica.

Un altro dei maggiori frammenti della Vera Croce si trova presso l'Abbazia di San Silvestro I Papa di Nonantola (Modena, Italia) ed è visibile oggi presso il Museo Benedettino e Diocesano dell'Abbazia di Nonantola, nella sezione del Tesoro Abbaziale.

Nel 348, in una delle sue Catecheses Cirillo di Gerusalemme sostiene che "tutta la Terra è piena delle reliquie della Croce di Cristo" , e in un'altra "il santo legno della Croce ci porta una testimonianza, visibile tra noi in questo giorno, e che da questo luogo adesso si è diffusa nel mondo intero, per mezzo di coloro che, nella loro fede, ne asportano dei pezzi" .

Il resoconto di Egeria dimostra quanto queste reliquie della crocifissione fossero ritenute preziose. Giovanni Crisostomo riferisce che i frammenti della Vera Croce erano conservati in reliquiari d'oro, "che gli uomini con reverenza portavano sulla loro persona".

Attorno all'anno 455, Giovenale di Gerusalemme, Patriarca di Gerusalemme inviò a Papa Leone I un frammento del "prezioso legno", secondo le Lettere di Papa Leone.

Una parte della Croce fu portata a Roma nel VII secolo da Papa Sergio I, che era di origine Bizantina. Si dice che un'iscrizione del 359, trovata a Tixter, nei dintorni di Sétif, in Mauritania, riportasse, in un elenco di reliquie, un frammento della Vera Croce, secondo una voce delle Roman Miscellanies, X, 441.

Ma la maggior parte delle reliquie più piccole arrivò in Europa da Costantinopoli.

La città fu presa e saccheggiata durante la Quarta Crociata, nel 1204:         « Dopo la conquista della città d Costantinopoli fu trovata una ricchezza inestimabile, gioielli incredibilmente preziosi e anche una parte della Croce di Cristo, che Elena spostò da Gerusalemme e che fu decorata con oro e pietre preziose. In quel luogo era tenuta in somma ammirazione.

Venne scolpita dai presenti vescovi e divisa fra i cavalieri assieme alle altre reliquie preziose; in seguito, al ritorno in patria, fu donata a chiese e monasteri. » (Chronica regia Coloniensis - sub annorum 1238 - 1240. pagina 203).

Alla fine del Medioevo così tante chiese sostenevano di possedere un pezzo della Vera Croce, che Giovanni Calvino affermò ironicamente che tutte queste supposte reliquie avrebbero potuto riempire una nave:

« Non c'è un'abbazia così povera da non averne un esemplare [di reliquia della Croce].
In alcuni luoghi se ne trovano grossi frammenti, come nella Santa Cappella, a Parigi, a Polictiers, e a Roma, dove si dice che ne sia stato ricavato un crocifisso di discrete dimensioni.
In breve, se tutti i pezzi ritrovati fossero raccolti, formerebbero un grande carico di nave.
Tuttavia i Vangeli mostrano che poteva essere trasportata da un solo uomo. » (Giovanni Calvino, Traité Des Reliques.). 

Tuttavia, anche se la frase di Calvino è tuttora presa alla lettera da molti commentatori, e anche se è chiaro che molti dei pezzi esistenti della Vera Croce siano delle contraffazioni create dai mercanti viaggiatori durante il Medioevo, l'affermazione non è corretta.

Infatti, nel 1870 Rohault de Fleury, nel suo libro Mémoire sur les instruments de la Passion (Memorie sugli strumenti della Passione), stese un catalogo di tutte le reliquie conosciute della Vera Croce, sostenendo che, al contrario di quanto affermato da altri autori, i presunti frammenti della Croce, raccolti insieme, ammonterebbero al volume di soli 0,004 metri cubi.

Rohault calcolò: supponendo che la Croce fosse stata di legno di pino (in base alle sue analisi al microscopio dei campioni) e assegnandole un peso di circa settantacinque chilogrammi, possiamo calcolare il volume originale della croce essere 0,178 metri cubi.

Resta quindi un volume di 0,174 metri cubi di legno ancora dispersi, distrutti o non conteggiati.

In effetti non abbiamo informazioni credibili sulla struttura della croce, che di solito non era in un pezzo unico, ma costituita da un palo (fisso) e da un'asse (mobile) a volte costituita dal chiavistello di una porta; quindi il volume stimato da Rohault potrebbe essere errato.

Questa incertezza deriva dal fatto che abbiamo un'idea insufficiente sulle dimensioni e volume degli strumenti per la crocefissione in epoca romana.

In ogni caso 0,004 metri cubi, pari a un cubo di circa 16 cm di lato, oppure a un palo lungo un metro e del diametro di soli 7 cm circa, sono certamente molto meno del volume che la croce poteva avere.

La quantità di legno della croce presente nell'antichità impressionava comunque anche i credenti, e coloro che credevano all'autenticità della reliquia, e se ne davano diverse spiegazioni.

Ad esempio Paolino invoca il miracolo della "reintegrazione delle croce": ovvero, per quanti pezzi e schegge se ne possano togliere, la Vera Croce resta sempre integra. [The Catholic Encyclopaedia, Vol. 4, p. 524]

Quattro schegge della Croce - di dieci frammenti con prove documentate degli Imperatori Bizantini - provenienti da chiese Europee: Santa Croce in Gerusalemme a Roma, Notre Dame de Paris, il Duomo di Pisa e Santa Maria del Fiore - sono stati analizzati al microscopio.

"I pezzi vengono tutti da legno di olivo" (William Ziehr, La Croce, Stoccarda 1997, p.63)

Anche la parrocchia di Civitella Casanova in Abruzzo possiede, accuratamente riposte in un reliquiario d'argento, delle reliquie attribuite alla Croce di Cristo.

A Chiaramonte Gulfi (RG) si conservano due frammenti del legno della vera croce uno custodito nella Chiesa di San Vito in un prezioso reliquiario in filigrana di argento e l'altro nella Chiesa Commendale del S.M.O.M. di San Giovanni Battista custodito in un reliquiario di argento, insieme ad altre reliquie, e accompagnato da un documento che ne afferma l'autenticità.

A Gerace (RC) si conserva un piccolissimo frammento della croce di Gesù Cristo in un grande reliquario contenente 100 tessuti dei Santi.

Giovanni Crisostomo ha scritto delle omelie sulla Croce:

« I Re togliendosi il diadema prendono le croci, il simbolo della morte del loro salvatore; sulla porpora, la croce; nelle loro preghiere, la croce; sul sacro altare, la croce; in tutto l'universo, la croce.

La croce risplende più chiara del sole.»

lunedì 23 marzo 2015

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